Lunghe, fitte, i fogli che, ripiegati, facevano fatica a stare nella busta. A me piacevano così. Quando occorreva anche il francobollo aggiuntivo, perché la busta era pesante.

Occorreva tempo per scriverle, cercando di non impastare l’inchiostro, secondo la migliore sindrome da Charlie Brown.

Occorreva tempo per uscire di casa, passare a comprare i francobolli e imbucare. Uno sportellino mobile per un tuffo tra le carte.

Occorreva tempo per chiedersi quale percorso avrebbe fatto la busta, passando da quali mani, quanto ci avrebbe messo per essere fatta nuovamente scivolare nella buca di destinazione.

Occorreva tempo per immaginare le emozioni lontane, per dimenticare quello che avevi scritto o ricordarlo troppo bene e non poterlo correggere.

Occorreva tempo, ogni giorno gettando l’occhio nella casella al piano terreno, di fianco all'ascensore. Era nera, buia. Dovevi avvicinare molto il viso per scorgere i profili all'interno.

Occorreva tempo per calmare i battiti del cuore, quella busta tra le mani, gonfia come la tua. Quei fogli fitti, quei pensieri lunghi.

Occorreva tempo – e invece volava – mentre leggevi.

Occorreva tempo per desiderare di essere vicini. E per accorgersi che lo si era davvero.

E’ lì che ho imparato ad aspettare. Anche se non sono sicura di avere capito tutto di quella lezione.

Occorreva tempo per annotare tutti gli indirizzi, prima della vacanza, per scrivere 140 caratteri sulle cartoline.

Ho smesso.
E se oggi capita di ricevere una cartolina, mi commuovo.

Silvia Sertorio

Una spettacolare collezione di cartoline deidicata ai nostri migliori amici.

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